In questo periodo Palermo è in piena campagna elettorale per rinnovare l'Amministrazione locale. Ogni candidato ha naturalmente il suo slogan e mi ha colpito quello, laconico di Rita Borsellino (cui va il mio sincero in bocca al lupo per "primarie" e "secondarie"): Palermo Bene Comune.
Ma così scrivendo, la sorella dell'Eroe Magistrato ha lanciato ai cittadini una sfida a mio avviso davvero ardua, perché in Sicilia (e nel Capoluogo in particolare) il Bene Comune non si sa e non si capisce proprio cosa sia. Al contrario, l'esagerato (leggasi esasperato) senso della proprietà privata, unito al disprezzo assoluto per il Bene Comune (in tutte le accezioni semantiche dell'espressione), è il vero e proprio trademark del Palermitano verace, perlomeno quello non "guastato" da una diuturna permanenza... in Continente: "tutto ciò che è esterno (estraneo) a me (e alla mia stretta famiglia), è immonda immondizia". E il corollario di questo teorema è che, senza che nessuno se ne renda conto, ogni famiglia palermitana è considerata liquame da parecchie delle altre 150 mila. E così immondizia e liquame umani si amalgamano senza soluzione di continuità con quelli antonomastici, oramai presenza costante e coreografia obbligatoria ad ogni angolo della nostra ridente città.
Una delle prove più evidenti di ciò che affermo è sotto gli occhi di tutti, e riguarda il decoro degli edifici privati del Capoluogo: l'abnorme quantità di stabili con le facciate lasciate squallidamente grezze e/o fatiscenti, come quella mostrata in foto (ma è solo uno tra le centinaja di possibili snapshots). Un vero e proprio pugno nell'occhio per ogni turista dei paesi c.d. sviluppati, cui sono certo lascerà un indelebile ricordo.
Vabbé, si dirà, sono finiti i soldi e/o bisogna risparmiare (e già questa abitudine, al di là della attuale congiuntura economica, è indicativa del fenomeno di dicotomia mentale). Ma, contrariamente a quanto si possa comunemente credere, in molti casi lo squallore degli esterni non è affatto inversamente proporzionale al budget disponibile: negli appartamenti di alcuni di quei palazzi si possono ammirare, come ho avuto modo di constatare personalmente, lussuosi tappeti persiani e perfino rubinetterie dorate, il tutto in cespiti decorati da ogni possibile (e alquanto superflua) rifinitura. Benché sia abbastanza raro che i proprietari consentano perfino ai vicini di pianerottolo di varcare la soglia delle loro "regge" (ad esempio non conosco l'interno dell'appartamento del mio dirimpettajo, pur abitando là da tre lustri). Infatti, di solito a Palermo come salotti di conversazione (ovviamente rigorosamente in pigiama e giapponesine in qualunque stagione dell'anno), indolenti al passaggio degli altri condòmini, si preferiscono i gradini attigui all'uscio di casa, dove tutt'attorno si trovano immancabili ombrelliere, piante, quadretti e altre cianfrusaglie che hanno il preciso scopo di indicare e delimitare la conquista, da parte del privato, degli spazi condominiali (cioè il più vicino Bene Comune).
Insomma, a queste latitudini in molti cercano di "allargare" il proprio territorio il più possibile, senza alcun rispetto per il prossimo e, soprattutto, per ciò che appartiene a tutti, ergo a nessuno. Se potesse farlo, sono arcisicuro che qualcuno a Palermo non esiterebbe un istante a "murare" il pianerottolo delle scale condominiali e farne un ripostiglio del proprio appartamento, proprio alla maniera del proprietario di questa "pittoresca" abitazione immortalata qua a fianco.
E pensare che nelle belle e amene città e cittadelle storiche del Nord Italia i Comuni impongono ai condomìni di adeguare la forma e persino il colore delle facciate degli stabili a quello della via o del corso, creando così un meraviglioso effetto estetico (sconosciuto ai più di questa nostra stupida isola) che, al contrario del nostro individualistico squallore così ben evidenziato, attrae i turisti e il loro denaro.
L'Antisiciliano
la Sicilia e i Siciliani visti da un'altra
prospettiva - con particolare attenzione
alle tristezze del Capoluogo
venerdì 2 marzo 2012
sabato 4 febbraio 2012
Punti di vista
Avete riconosciuto il dipinto? Ovviamente sì, praticamente non c'è persona sulla Terra che non abbia visto almeno una volta il volto raffigurato in questo olio su legno. Sì, però...
Però scommetto che i lettori, guardando più attentamente l'immagine qua a fianco, avranno la sensazione che qualcosa non quadra; anche se credo che la maggior parte di essi non riuscirà ad individuare l'anomalia, perlomeno senza l'ajuto dell'originale (e visto che trovarlo sul Web è un gioco da ragazzi, non svelerò l'arcano).
Qualcuno magari si starà chiedendo, cosa c'entra Monna Lisa con la Sicilia? Allora guardate questa stampa a volo d'angelo (tratta da una delle prime mappe che furono stampate dell'Italia Unita, la cosiddetta Cartina Cavour, oggi una rarità). L'Italia in posizione di Trendelenburg probabilmente non l'avete mai vista; eppure è in questo modo che lo Stivale apparirebbe ad un ipotetico osservatore che si trovasse sul Cielo sopra Berlino. Insomma, è così che l'Europa "ci vede". E la Sicilia è molto, molto lontana: praticamente un'appendice insulare dell'Africa. Di più: la sua forma, vista da questa insolita angolazione, ci sembra poco familiare, come ci si può rendere conto facilmente dall'aereo in un volo di ritorno sull'Isola.
Il Leitmotiv di Questo Blog è che le cose di solito appajono alquanto differenti, se osservate da un'altra prospettiva. Esattamente come i modi di fare e le abitudini dei Siciliani, quando esaminati, spassionatamente e con sincerità (ma senza cadere nei soliti, facili epperò pericolosi luoghi comuni, assai cari, ad esempio, ai connazionali Leghisti), dalla prospettiva "Continentale" (in senso lato). E per farlo non c'è affatto bisogno di finire adottato in qualche luogo più o meno sperduto lontano dalla Trinacria. A mio giudizio, è sufficiente aver messo "il naso fuori" per un tempo abbastanza lungo da azzerare l'imprinting. E, se si "sopravvive" al frequentemente devastante culture shock, si comprende che certi atteggiamenti mentali, qua considerati del tutto normali e che passano quasi inosservati sono, nel migliore dei casi, assai singolari, ma in altri casi ostacolo insormontabile al benessere dei Siciliani autoctoni e al pur legittimo desiderio di prosperità di questa splendida Isola.
mercoledì 1 febbraio 2012
Palermo... differenziale!
Forse qualcuno tra i meno giovani se ne ricorderà, ma in Italia fino agli anni sessanta esistevano le cosiddette classi differenziali, nelle quali i portatori di handicap perlopiù mentali seguivano un itinerario scolastico-pedagogico, appunto, "differenziato". Con tutto il rispetto dovuto ai cerebrolesi, sono certo che proprio quello deve essere stato il percorso formativo di un ignoto, attuale dirigente dell'AMIA, l'azienda della gestione dei rifiuti di Palermo, che con una delle sue disposizioni ha creato a non pochi cittadini una situazione che ha, kafkianamente, dell'incredibile.
Veniamo ai fatti. Vivo nel quartiere Noce, uno tra i più popolosi del Capoluogo, e da tanto tempo la mia famiglia ha la sana abitudine di differenziare, per quanto è possibile in maniera spinta, l'immonda immondizia. A molti potrò forse sembrare maniaco, ma ormai non riesco a gettare nel contenitore dell'indifferenziata senza rimorso neppure i pochi milligrammi di acciajo di un punto di spillatrice (è più forte di me). Dopo alterne vicende che preferisco tralasciare, grazie anche alle mie numerose segnalazioni, siamo riusciti ad avere le campane R.D. nelle vicinanze dello stabile. Campane, si badi bene, quasi sempre stracolme, che mi hanno costretto per anni a scrivere più volte al mese all'AMIA per segnalare la necessità di svuotamento. Segnalazioni che, ad onor del vero, hanno quasi sempre avuto in tempi brevi esito positivo e il conseguente svuotamento dei cassonetti R.D.
Come è noto, il nostro ex-Sindaco "Smile", che nei due lustri di fantasmagorica amministrazione, tra i suoi numerosi "meriti e primati" ha quello di aver portato, caso unico in Italia, la R.D. dal 9 al 4%, dal 2010 ha istituito la (controversa) raccolta "portone a portone" (i cui dettagli saranno sicuramente oggetto di un futuro post) che, a colpi di ordinanze successive, è arrivata quasi a ridosso della nostra via. Ebbene, quasi contemporaneamente sono misteriosamente spariti i succitati cassonetti ordinari della R.D. che, si badi bene, giacevano nella zona non servita dal nuovo sistema. Né sono riuscito a trovarne uno nelle vicinanze, per quanto impegno ci avessi messo. Con l'abitazione piena di sacchetti di carta e plastica e mia moglie che minacciava ripetutamente il divorzio, ho provato a segnalare per e-mail all'AMIA più volte il "disguido", ma l'Azienda, questa volta, non mi ha mai risposto, né ho potuto raggiungere telefonicamente un operatore.
Ma ad un suo funzionario incrociato per strada, cui ho esposto il problema (e che molto gentilmente ha chiamato la sua Azienda al cellulare) l'AMIA non poteva non rispondere: "i cassonetti R.D. sono stati eliminati dalle zone di confine per evitare che i residenti della zona porta a porta possano utilizzarli per conferire i loro rifiuti differenziati". Sissignori, non è un refuso, avete letto bene. L'ignoto artefice della disposizione, per non consentire a qualche residente della zona "porta a porta" di usare, immagino saltuariamente, i cassonetti R.D. tradizionali, impedisce di fatto di praticare la R.D. a tutti residenti non coperti da tale servizio! Credo che ogni mio commento sia superfluo: i lettori possono giudicare da sé le capacità gestionali (e mentali) del dirigente. Da parte mia posso solo augurare a quelli che, come me, nonostante tutto si ostinano a differenziare, di non ritrovarsi mai in una "zona di confine" della nostra povera città (confine che peraltro è destinato a lungo a non mutare visto il dissesto finanziaio in cui versano Comune e Azienda).
Questa triste storia ha un triste seguito: con la testa dura che mi contraddistingue sono finalmente riuscito a rintracciare i cassonetti R.D., ma a distanza di ben 700 metri dal nostro stabile.Qui a fianco ho immortalato la spettacolare situazione che ho trovato alla fine della lunga passeggiata. Come si suol dire, oltre al danno... la beffa!
Veniamo ai fatti. Vivo nel quartiere Noce, uno tra i più popolosi del Capoluogo, e da tanto tempo la mia famiglia ha la sana abitudine di differenziare, per quanto è possibile in maniera spinta, l'immonda immondizia. A molti potrò forse sembrare maniaco, ma ormai non riesco a gettare nel contenitore dell'indifferenziata senza rimorso neppure i pochi milligrammi di acciajo di un punto di spillatrice (è più forte di me). Dopo alterne vicende che preferisco tralasciare, grazie anche alle mie numerose segnalazioni, siamo riusciti ad avere le campane R.D. nelle vicinanze dello stabile. Campane, si badi bene, quasi sempre stracolme, che mi hanno costretto per anni a scrivere più volte al mese all'AMIA per segnalare la necessità di svuotamento. Segnalazioni che, ad onor del vero, hanno quasi sempre avuto in tempi brevi esito positivo e il conseguente svuotamento dei cassonetti R.D.
Come è noto, il nostro ex-Sindaco "Smile", che nei due lustri di fantasmagorica amministrazione, tra i suoi numerosi "meriti e primati" ha quello di aver portato, caso unico in Italia, la R.D. dal 9 al 4%, dal 2010 ha istituito la (controversa) raccolta "portone a portone" (i cui dettagli saranno sicuramente oggetto di un futuro post) che, a colpi di ordinanze successive, è arrivata quasi a ridosso della nostra via. Ebbene, quasi contemporaneamente sono misteriosamente spariti i succitati cassonetti ordinari della R.D. che, si badi bene, giacevano nella zona non servita dal nuovo sistema. Né sono riuscito a trovarne uno nelle vicinanze, per quanto impegno ci avessi messo. Con l'abitazione piena di sacchetti di carta e plastica e mia moglie che minacciava ripetutamente il divorzio, ho provato a segnalare per e-mail all'AMIA più volte il "disguido", ma l'Azienda, questa volta, non mi ha mai risposto, né ho potuto raggiungere telefonicamente un operatore.
Ma ad un suo funzionario incrociato per strada, cui ho esposto il problema (e che molto gentilmente ha chiamato la sua Azienda al cellulare) l'AMIA non poteva non rispondere: "i cassonetti R.D. sono stati eliminati dalle zone di confine per evitare che i residenti della zona porta a porta possano utilizzarli per conferire i loro rifiuti differenziati". Sissignori, non è un refuso, avete letto bene. L'ignoto artefice della disposizione, per non consentire a qualche residente della zona "porta a porta" di usare, immagino saltuariamente, i cassonetti R.D. tradizionali, impedisce di fatto di praticare la R.D. a tutti residenti non coperti da tale servizio! Credo che ogni mio commento sia superfluo: i lettori possono giudicare da sé le capacità gestionali (e mentali) del dirigente. Da parte mia posso solo augurare a quelli che, come me, nonostante tutto si ostinano a differenziare, di non ritrovarsi mai in una "zona di confine" della nostra povera città (confine che peraltro è destinato a lungo a non mutare visto il dissesto finanziaio in cui versano Comune e Azienda).
Questa triste storia ha un triste seguito: con la testa dura che mi contraddistingue sono finalmente riuscito a rintracciare i cassonetti R.D., ma a distanza di ben 700 metri dal nostro stabile.Qui a fianco ho immortalato la spettacolare situazione che ho trovato alla fine della lunga passeggiata. Come si suol dire, oltre al danno... la beffa!
lunedì 30 gennaio 2012
Lungo e disteso t'hanno trovato
Scriveva Charles Baudelaire: "[...] la plus belle des ruses du Diable est de vous persuader qu'il n'existe pas!" (la più grande abilità del Diavolo è farvi credere che non esista). Che poi, guarda caso, è la medesima strategia delle associazioni a delinquere (e parassitiche) comunemente chiamate mafie, in particolare di Cosa Nostra (ciò almeno fino alla stagione delle stragi, che purtroppo ha drammaticamente tolto, circa l'esistenza dell'Organizzazione, ogni dubbio a quei pochi che ancora ne avevano).
All'inizio degli anni 70, in un periodo in cui ancora autorevoli esponenti politici locali e nazionali affermavano tranquillamente che "la mafia non esiste", i Giganti, un gruppo (o, come si diceva allora, un "complesso") milanese, già sulla scena della musica cosiddetta leggera da una dozzina di anni e sensibile come pochi altri ai temi sociali (ricordo soltanto l'evergreen Tema), coraggiosamente osarono incidere e pubblicare una controversa Suite (uno dei primi concept albums pubblicati in Italia, basato su un reale fatto di cronaca) dall'apodittico titolo Terra in Bocca, sfidando i poteri forti, come del resto è successo tante volte prima e dopo di loro. Ma, si sa, chi tocca i fili (del Potere) muore. Il gradevolissimo album fu oggetto di una spietata censura da parte della RAI (finendo così per essere conosciuto ed apprezzato più all'estero che in Italia), purtroppo divenendo anche il Canto del Cigno del gruppo, che si sciolse poco dopo.
Pertanto sono felice di apprendere che, a distanza di ben 40 anni, l'opera sarà riproposta, in un'ennesima versione live, il 4 febbrajo ad Ariccia (località dei Castelli Romani già in qualche modo gemellata alla Sicilia per aver ospitato alcune riprese del Gattopardo di Visconti) da parte dei tre superstiti del gruppo, che recentemente ha vinto il premio Paolo Borsellino 2011. Il bassista e cantante solista di allora, Sergio Di Martino, purtroppo non potrà godere della rivalutazione postuma dell'opera, perché scomparso nel 1996.
Quello che possiamo augurarci è che il trio, forte anche del meritato quanto assai tardivo apprezzamento di un lavoro che indubbiamente ha precorso i tempi, abbia voglia e coraggio di proporre il concerto, almeno una volta, in Sicilia. Che poi è la terra di origine dei fratelli Di Martino.
All'inizio degli anni 70, in un periodo in cui ancora autorevoli esponenti politici locali e nazionali affermavano tranquillamente che "la mafia non esiste", i Giganti, un gruppo (o, come si diceva allora, un "complesso") milanese, già sulla scena della musica cosiddetta leggera da una dozzina di anni e sensibile come pochi altri ai temi sociali (ricordo soltanto l'evergreen Tema), coraggiosamente osarono incidere e pubblicare una controversa Suite (uno dei primi concept albums pubblicati in Italia, basato su un reale fatto di cronaca) dall'apodittico titolo Terra in Bocca, sfidando i poteri forti, come del resto è successo tante volte prima e dopo di loro. Ma, si sa, chi tocca i fili (del Potere) muore. Il gradevolissimo album fu oggetto di una spietata censura da parte della RAI (finendo così per essere conosciuto ed apprezzato più all'estero che in Italia), purtroppo divenendo anche il Canto del Cigno del gruppo, che si sciolse poco dopo.
Pertanto sono felice di apprendere che, a distanza di ben 40 anni, l'opera sarà riproposta, in un'ennesima versione live, il 4 febbrajo ad Ariccia (località dei Castelli Romani già in qualche modo gemellata alla Sicilia per aver ospitato alcune riprese del Gattopardo di Visconti) da parte dei tre superstiti del gruppo, che recentemente ha vinto il premio Paolo Borsellino 2011. Il bassista e cantante solista di allora, Sergio Di Martino, purtroppo non potrà godere della rivalutazione postuma dell'opera, perché scomparso nel 1996.
Quello che possiamo augurarci è che il trio, forte anche del meritato quanto assai tardivo apprezzamento di un lavoro che indubbiamente ha precorso i tempi, abbia voglia e coraggio di proporre il concerto, almeno una volta, in Sicilia. Che poi è la terra di origine dei fratelli Di Martino.
venerdì 20 gennaio 2012
Sicilia Bedda
Per evitare equivoci e fallaci Wahlverwandtschaften(abneigungen), preciso che sono Siciliano (per l'esattezza, di Palermo City, da almeno otto generazioni, per parte di padre) e trovo che l'isola in cui vivo sia una splendida terra sotto parecchi punti di vista.
E che dire delle sue umane creature, i Siciliani? In barba ad ogni possibile Allgemeinplatz, un'azzeccata definizione l'ha data qualche anno fa un mio conoscente romano, confidandomi che i Palermitani che ha avuto modo di frequentare a Roma sono tutti espansivi, socievoli, colti e raffinati, con un gusto particolare per l'estetica. Si dà però il caso che allorché fece, per la prima (e ahimé ultima) volta, una visita a Palermo, egli scappò via, sicuramente sorpreso, certamente deluso e probabilmente nauseato dalle pessime condizioni (in tutti i sensi) in cui i Palermitani autoctoni (man)tenevano la loro città.
Ed è proprio vero che lo sport preferito da molti Siciliani (ma non solo) è maltrattare e fare, in tutti i modi possibili ed escogitabili, scempio della propria, meravigliosa terra; e ciò vale sia per i 5 milioni che ci vivono, sia per coloro che ci tornano (dei circa 600 mila che vivono all'estero o di coloro che, in numero imprecisato ma grande, vivono nel resto d'Italia), ancorché per brevi periodi vacanzieri. Ma sui modi e, soprattutto, sui possibili perché di tale comportamento, apparentemente masochistico, avrò modo di scrivere, Inshallah, in prossimi post.
Con un'estensione di 2,6 milioni di ettari (quasi due terzi della Svizzera, in buona parte collinari), e circa 1500 km di magnifiche coste (includendo le isole minori), ovvero un quinto di tutta l'Italia, la Sicilia è talmente estesa che chi la abita ha raramente la sensazione di vivere su un'isola (se ne rammenta perlopiù quando parte o vi giunge). In un punto economicamente, politicamente e militarmente strategico, esattamente al centro del Mediterraneo, a due passi dalla Tunisia (come si vede bene nella foto-simbolo di Questo Blog), è così vicina all'Africa che spesso la sabbia rossastra del deserto, nei giorni uggiosi di scirocco o di libeccio, ci viene a far compagnia. Climaticamente assai mite (se si eccettuano un pajo di torridi mesi estivi), tanto che i visitatori dei Paesi Nordici (con una tradizione che risale almeno a Goethe e ai suoi contemporanei) non vorrebbero andar (e in alcuni casi non vanno) più via.
Quanto a patrimonio artistico e culturale, grazie anche alla moltitudine di popoli "colonizzatori" (Siculi, Elimi, Greci, Fenici, Cartaginesi, Romani, Vandali, Goti, Bizantini, Arabi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni, Piemontesi e... scusate se son pochi!), la Sicilia ne ha da vendere. E le opere sono tra le più variegate e pregiate. Basti pensare ai monumenti ed opere d'arte Romani, a quelli Arabo-Normanni, al Barocco, al Liberty dei Florio. Insomma, dai ruderi del Tempio d'Apollo ad Ortigia (Siracusa) dell'inizio del VI secolo a.C. fino al magnifico tempio della civiltà contemporanea che è il Teatro Massimo (Palermo, fine XIX secolo d.C.), la Sicilia possiede un campionario davvero invidiabile.E che dire delle sue umane creature, i Siciliani? In barba ad ogni possibile Allgemeinplatz, un'azzeccata definizione l'ha data qualche anno fa un mio conoscente romano, confidandomi che i Palermitani che ha avuto modo di frequentare a Roma sono tutti espansivi, socievoli, colti e raffinati, con un gusto particolare per l'estetica. Si dà però il caso che allorché fece, per la prima (e ahimé ultima) volta, una visita a Palermo, egli scappò via, sicuramente sorpreso, certamente deluso e probabilmente nauseato dalle pessime condizioni (in tutti i sensi) in cui i Palermitani autoctoni (man)tenevano la loro città.
Ed è proprio vero che lo sport preferito da molti Siciliani (ma non solo) è maltrattare e fare, in tutti i modi possibili ed escogitabili, scempio della propria, meravigliosa terra; e ciò vale sia per i 5 milioni che ci vivono, sia per coloro che ci tornano (dei circa 600 mila che vivono all'estero o di coloro che, in numero imprecisato ma grande, vivono nel resto d'Italia), ancorché per brevi periodi vacanzieri. Ma sui modi e, soprattutto, sui possibili perché di tale comportamento, apparentemente masochistico, avrò modo di scrivere, Inshallah, in prossimi post.
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