venerdì 2 marzo 2012

Palermo... affacciata!

In questo periodo Palermo è in piena campagna elettorale per rinnovare l'Amministrazione locale. Ogni candidato ha naturalmente il suo slogan e mi ha colpito quello, laconico di Rita Borsellino (cui va il mio sincero in bocca al lupo per "primarie" e "secondarie"): Palermo Bene Comune.
Ma così scrivendo, la sorella dell'Eroe Magistrato ha lanciato ai cittadini una sfida a mio avviso davvero ardua, perché in Sicilia (e nel Capoluogo in particolare) il Bene Comune non si sa e non si capisce proprio cosa sia. Al contrario, l'esagerato (leggasi esasperato) senso della proprietà privata, unito al disprezzo assoluto per il Bene Comune (in tutte le accezioni semantiche dell'espressione), è il vero e proprio trademark del Palermitano verace, perlomeno quello non "guastato" da una diuturna permanenza... in Continente: "tutto ciò che è esterno (estraneo) a me (e alla mia stretta famiglia), è immonda immondizia". E il corollario di questo teorema è che, senza che nessuno se ne renda conto, ogni famiglia palermitana è considerata liquame da parecchie delle altre 150 mila. E così immondizia e liquame umani si amalgamano senza soluzione di continuità con quelli antonomastici, oramai presenza costante e coreografia obbligatoria ad ogni angolo della nostra ridente città.
Una delle prove più evidenti di ciò che affermo è sotto gli occhi di tutti, e riguarda il decoro degli edifici privati del Capoluogo: l'abnorme quantità di stabili con le facciate lasciate squallidamente grezze e/o fatiscenti, come quella mostrata in foto (ma è solo uno tra le centinaja di possibili snapshots). Un vero e proprio pugno nell'occhio per ogni turista dei paesi c.d. sviluppati, cui sono certo lascerà un indelebile ricordo.
Vabbé, si dirà, sono finiti i soldi e/o bisogna risparmiare (e già questa abitudine, al di là della attuale congiuntura economica, è indicativa del fenomeno di dicotomia mentale). Ma, contrariamente a quanto si possa comunemente credere, in molti casi lo squallore degli esterni non è affatto inversamente proporzionale al budget disponibile: negli appartamenti di alcuni di quei palazzi si possono ammirare, come ho avuto modo di constatare personalmente, lussuosi tappeti persiani e perfino rubinetterie dorate, il tutto in cespiti decorati da ogni possibile (e alquanto superflua) rifinitura. Benché sia abbastanza raro che i proprietari consentano perfino ai vicini di pianerottolo di varcare la soglia delle loro "regge" (ad esempio non conosco l'interno dell'appartamento del mio dirimpettajo, pur abitando là da tre lustri). Infatti, di solito a Palermo come salotti di conversazione (ovviamente rigorosamente in pigiama e giapponesine in qualunque stagione dell'anno), indolenti al passaggio degli altri condòmini, si preferiscono i gradini attigui all'uscio di casa, dove tutt'attorno si trovano immancabili ombrelliere, piante, quadretti e altre cianfrusaglie che hanno il preciso scopo di indicare e delimitare la conquista, da parte del privato, degli spazi condominiali (cioè il più vicino Bene Comune).
Insomma, a queste latitudini in molti cercano di "allargare" il proprio territorio il più possibile, senza alcun rispetto per il prossimo e, soprattutto, per ciò che appartiene a tutti, ergo a nessuno. Se potesse farlo, sono arcisicuro che qualcuno a Palermo non esiterebbe un istante a "murare" il pianerottolo delle scale condominiali e farne un ripostiglio del proprio appartamento, proprio alla maniera del proprietario di questa "pittoresca" abitazione immortalata qua a fianco.
E pensare che nelle belle e amene città e cittadelle storiche del Nord Italia i Comuni impongono ai condomìni di adeguare la forma e persino il colore delle facciate degli stabili a quello della via o del corso, creando così un meraviglioso effetto estetico (sconosciuto ai più di questa nostra stupida isola) che, al contrario del nostro individualistico squallore così ben evidenziato, attrae i turisti e il loro denaro.