lunedì 30 gennaio 2012

Lungo e disteso t'hanno trovato

Scriveva Charles Baudelaire: "[...] la plus belle des ruses du Diable est de vous persuader qu'il n'existe pas!" (la più grande abilità del Diavolo è farvi credere che non esista). Che poi, guarda caso, è la medesima strategia delle associazioni a delinquere (e parassitiche) comunemente chiamate mafie, in particolare di Cosa Nostra (ciò almeno fino alla stagione delle stragi, che purtroppo ha drammaticamente tolto, circa l'esistenza dell'Organizzazione, ogni dubbio a quei pochi che ancora ne avevano).
All'inizio degli anni 70, in un periodo in cui ancora autorevoli esponenti politici locali e nazionali affermavano tranquillamente che "la mafia non esiste", i Giganti, un gruppo (o, come si diceva allora, un "complesso") milanese, già sulla scena della musica cosiddetta leggera da una dozzina di anni e sensibile come pochi altri ai temi sociali (ricordo soltanto l'evergreen Tema), coraggiosamente osarono incidere e pubblicare una controversa Suite (uno dei primi concept albums pubblicati in Italia, basato su un reale fatto di cronaca) dall'apodittico titolo Terra in Bocca, sfidando i poteri forti, come del resto è successo tante volte prima e dopo di loro. Ma, si sa, chi tocca i fili (del Potere) muore. Il gradevolissimo album fu oggetto di una spietata censura da parte della RAI (finendo così per essere conosciuto ed apprezzato più all'estero che in Italia), purtroppo divenendo anche il Canto del Cigno del gruppo, che si sciolse poco dopo.
Pertanto sono felice di apprendere che, a distanza di ben 40 anni, l'opera sarà riproposta, in un'ennesima versione live, il 4 febbrajo ad Ariccia (località dei Castelli Romani già in qualche modo gemellata alla Sicilia per aver ospitato alcune riprese del Gattopardo di Visconti) da parte dei tre superstiti del gruppo, che recentemente ha vinto il premio Paolo Borsellino 2011. Il bassista e cantante solista di allora, Sergio Di Martino, purtroppo non potrà godere della rivalutazione postuma dell'opera, perché scomparso nel 1996.
Quello che possiamo augurarci è che il trio, forte anche del meritato quanto assai tardivo apprezzamento di un lavoro che indubbiamente ha precorso i tempi, abbia voglia e coraggio di proporre il concerto, almeno una volta, in Sicilia. Che poi è la terra di origine dei fratelli Di Martino.

venerdì 20 gennaio 2012

Sicilia Bedda

Per evitare equivoci e fallaci Wahlverwandtschaften(abneigungen), preciso che sono Siciliano (per l'esattezza, di Palermo City, da almeno otto generazioni, per parte di padre) e trovo che l'isola in cui vivo sia una splendida terra sotto parecchi punti di vista.
Con un'estensione di 2,6 milioni di ettari (quasi due terzi della Svizzera, in buona parte collinari), e circa 1500 km di magnifiche coste (includendo le isole minori), ovvero un quinto di tutta l'Italia, la Sicilia è talmente estesa che chi la abita ha raramente la sensazione di vivere su un'isola (se ne rammenta perlopiù quando parte o vi giunge). In un punto economicamente, politicamente e militarmente strategico, esattamente al centro del Mediterraneo, a due passi dalla Tunisia (come si vede bene nella foto-simbolo di Questo Blog), è così vicina all'Africa che spesso la sabbia rossastra del deserto, nei giorni uggiosi di scirocco o di libeccio, ci viene a far compagnia. Climaticamente assai mite (se si eccettuano un pajo di torridi mesi estivi), tanto che i visitatori dei Paesi Nordici (con una tradizione che risale almeno a Goethe e ai suoi contemporanei) non vorrebbero andar (e in alcuni casi non vanno) più via.
Quanto a patrimonio artistico e culturale, grazie anche alla moltitudine di popoli "colonizzatori" (Siculi, Elimi, Greci, Fenici, Cartaginesi, Romani, Vandali, Goti, Bizantini, Arabi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni, Piemontesi e... scusate se son pochi!), la Sicilia ne ha da vendere. E le opere sono tra le più variegate e pregiate. Basti pensare ai monumenti ed opere d'arte Romani, a quelli Arabo-Normanni, al Barocco, al Liberty dei Florio. Insomma, dai ruderi del Tempio d'Apollo ad Ortigia (Siracusa) dell'inizio del VI secolo a.C. fino al magnifico tempio della civiltà contemporanea che è il Teatro Massimo (Palermo, fine XIX secolo d.C.), la Sicilia possiede un campionario davvero invidiabile.
E che dire delle sue umane creature, i Siciliani? In barba ad ogni possibile Allgemeinplatz, un'azzeccata definizione l'ha data qualche anno fa un mio conoscente romano, confidandomi che i Palermitani che ha avuto modo di frequentare a Roma sono tutti espansivi, socievoli, colti e raffinati, con un gusto particolare per l'estetica. Si dà però il caso che allorché fece, per la prima (e ahimé ultima) volta, una visita a Palermo, egli scappò via, sicuramente sorpreso, certamente deluso e probabilmente nauseato dalle pessime condizioni (in tutti i sensi) in cui i Palermitani autoctoni (man)tenevano la loro città.
Ed è proprio vero che lo sport preferito da molti Siciliani (ma non solo) è maltrattare e fare, in tutti i modi possibili ed escogitabili, scempio della propria, meravigliosa terra; e ciò vale sia per i 5 milioni che ci vivono, sia per coloro che ci tornano (dei circa 600 mila che vivono all'estero o di coloro che, in numero imprecisato ma grande, vivono nel resto d'Italia), ancorché per brevi periodi vacanzieri. Ma sui modi e, soprattutto, sui possibili perché di tale comportamento, apparentemente masochistico, avrò modo di scrivere, Inshallah, in prossimi post.